QUANDO
IL PODISTA VA IN MONTE: ALPE DI SUCCISO
Un gruppo di amici,
legati da una passione, decidono di muoversi, dimenticando per una mattina
l’allenamento di corsa.
Giovedì 2 settembre,
guidati da Carlo Matteucci, noto Virgilio accompagnatore “su pei monti”, con
Renzo, Domenico, Sergio ed io, Andrea, tutti dell’Atletica Porcari, è bene
dirlo subito, ci siamo goduti, nel vero senso della parola, l’Alpe di
Succiso.
Dopo una levata nemmeno
tanto “accia” , eccoci all’apertura del super Conad di Aulla per l’acquisto
di alcuni panini al prosciutto di Parma (ma se andiamo in Emilia che si
doveva comprare, il buccellato?), biscotti ricoperti al cioccolato che oltre
ad essere energetici sono buoni da morire, una scatola di fruttini alla mela
cotogna, quelli che quando eravamo piccini ci avevano i francobolli per la
collezione e subito via per Fivizzano e poi Passo del Cerreto. Tiriamo fuori
tutti gli zaini, i bastoni più o meno storici, ci facciamo amico il padrone
del ristorante con un buon caffé e, visto che sono le 9 e mezza, decidiamo
di partire, non prima di aver scattato la foto al nostro obbiettivo: ALPE DI
SUCCISO quota 2016 e confermato che partiamo da quota 1255.
Un sentiero per abituare
i piedi agli scarponi, lamponi, faggi, polizia provinciale (simpatica che ci
saluta e ci augura una buona escursione), qualche salitella per sentire il
polpaccio, il sudore che nella mattinata, freschina, si affaccia timido per
poi straripare visto che nessuno gli ha detto niente.
Arriviamo così al
vallone dove nasce il Secchia. (Secondo affluente di destra del Po, per
importanza e lunghezza). Questo vallone è ovviamente un antico ghiacciaio e
ha tutto intorno i monti che fanno corona e catena. Il verde del prato,
brillante, il verde intenso dei faggi al limitare, verdissimo oltre i faggi,
le punte con alcune rocce, l’azzurro del cielo infinito. Ci lasciamo a sud
il Monte Alto. Limitiamo lo sguardo verso il ruscelletto che varchiamo,
pensiamo all’importanza che in Francia danno alle “Source” (Sorgenti) dei
Fiumi, quasi un luogo dove venerare una divinità. E forse in antichità il
fiume aveva in se una sorta di magico potere, gli veniva riconosciuta un’
importanza fondamentale e non per niente tutte le grandi città sono poste
lungo le rive di un fiume importante.
Non c’è tempo per
filosofare e, attraversato il prato, siamo già sul sentiero verso il Passo
di Pietratagliata. Duro come tutto quello che porta in alto su una parete
sopra di voi. C’è da arrampicarci, da puntare attraverso il bastone tutta la
nostra determinazione sul terreno, arriviamo alla spicciolata. Dietro la
gobba, al riparo dal vento, un biscotto ricoperto di cioccolato, una pera,
una bella bevuta e via. C’è da stare attenti, già il nome (Pietratagliata)
ti mette sull’avviso, c’è da prendere la cresta e subito dobbiamo scegliere
per un sentiero che gira sotto la pietra, perché lassù, sulla pietra, brilla
una corda metallica bella lucente e noi non vogliamo rischiare niente.
Quindi stiamo attenti sul sentiero leggermente sotto. Inizia così una salita
verso l’alto, con una gobba che si trova subito dopo un’altra gobba, il
sudore proprio dietro l’altro sudore, il sole che ci illumina a festa,
sotto, i rotondi monti dei Groppi di Camporaghena che se ne vanno verso il
Passo del Lagastrello. Improvvisa ci appare, oltre le creste, a impreziosire
il mare, l’isola del Tino. Si sale ancora in cresta: dura ma spettacolare,
sul Garmin leggiamo la quota che sale, i km che sono pochissimi, una bevuta,
ancora avanti. Ogni tanto un’occhiata al Passo del Cerreto che ci osserva
come un padre che guarda i suoi ragazzi giocare sul prato, ma noi siamo
cresciuti e siamo sul crinale del monte, davanti, oltre la valle, appare il
Cusna (monte più alto dell’Emilia) con la sua punta aguzza, cerchiamo
profili conosciuti. La Apuane ci appaiono tutte e tutte insieme come se
stessero esibendosi su un lungo filo, o come una sega rovesciata con tutti i
denti nei quali riconosciamo le sagome note. Le Panie, il nasone del Sumbra,
l’Alpe di Sella, la Roccandagia smerlata e il triangolino della Tambura, Il
Pisanino, il Contrario, il Grondilice il Pizzo d’Uccello, il Sagro. Ne
mancano proprio pochissimi!
Ma la nostra cresta, nel
verde luminoso, è spettacolare e non ci possiamo distrarre: solo fermandoci
ci viene da guardare il cielo, sentiamo un aereo vicino, le scie si
incrociano.
Alcune rocce ripide, ci
fermiamo per una foto ricordo, solo una gobba finale, siamo in cima. Una
Madonnina in un mondo che la contiene, una sfera divina, ci accoglie
sull’Alpe di Succiso (2016 mt), mentre sulla seconda gobba un segnale in
ferro, mezzo rovinato che dovrebbe servire per le rilevazioni militari. Sono
le 13, abbiamo percorso 6 km. Ci guardiamo in faccia e in giro, facciamo
foto senza toglierci gli zaini, decidiamo di scendere verso l’ometto di
pietra, e ancora per ripararci dal vento che sembra però essere calmato,
troviamo pietre calde e solide, comode per spalancare le carte con i nostri
viveri non prima di aver steso al sole i panni bagnati dal nostro sudore.
Si sta bene, c’è la
felicità del traguardo raggiunto, la fame che stiamo calmando, non ci sono
mosche né tafani, non c’è nuvola che tenga, l’orizzonte è a 360°. Se non
vediamo tutto il mondo è perché i nostri occhi non sono abituati a tanto.
Solo guardare verso
Cerreto, verso il passo, sotto la Nuda, ci viene da pensare ai km da fare
per tornare alla nostra auto. Non ci lasciamo prendere dall’euforia, siamo
parchi, ci rivestiamo e già che ci siamo andiamo a fare una visitina al
Monte Casarola (1979 mt) che proprio ci resterebbe male se non andassimo a
trovarlo, ritorniamo indietro verso la Sella del Casarola e prendiamo una
lunga diagonale, interrotta da tornanti secchi e ripidi che ci riporta in
basso. Il Passo è ancora lontano, ma verso i 1600 entriamo nelle faggete,
mangiando lamponi e mirtilli, beviamo un sorso e via ancora verso il prato
della Sorgente del Secchia. Ancora faggi, stupendi, nel fresco, a ritrovare
una cadenza che ci porti verso il Passo del Cerreto con una lena degna da
podisti. Una farfalla ci distrae… ma è solo un attimo.
Eccoci alla macchina, 6
ore e 40 minuti dopo essere partiti, km 13.4, ci cambiamo totalmente,
abbiamo ancora un panino da mangiare, una bottiglia di vino fresco e
frizzante dei paesi vicini in Lunigiana consigliato dall’ostessa, un caffé,
un saluto e il viaggio di ritorno con la felicità di una giornata da
ricordare.
Andrea, Sergio,
Domenico, Renzo e il mitico Carlo.
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